
04 Ago Offerta di lavoro dall’estero: quali questioni fiscali affrontare?
Non si deve per nulla pensare che sia sufficiente trasferirsi fisicamente all’estero per sciogliere il legame fiscale con l’Italia. In realtà, la mancata iscrizione all’A.I.R.E fa mantenere in vita per la legge italiana la presunzione (anche se relativa, quindi con possibilità di prova contraria) di residenza e, quindi, di tassazione mondiale dei redditi (art.2 TUIR). Non solo: anche mantenere immobili, conti bancari attivi, contratti di affitto, auto registrate e rapporti familiari in Italia può costare caro in quanto sono tutti questi elementi dimostrano la permanenza di un “centro degli interessi” economici e familiari in Italia e possono indurre il Fisco ad avviare accertamenti. La legge chiarisce che l’iscrizione nel registro della popolazione residente o la permanenza in Italia del domicilio (inteso come luogo in cui si sviluppano le principali relazioni personali o familiari) o la presenza fisica di fatto in Italia per un dato periodo sono elementi – basta uno di questi – idonei a far pensare che il trasferimento all’estero non sia reale. L’iscrizione all’AIRE è un passaggio necessario, ma non sufficiente: è sempre richiesto che la situazione estera sia reale e documentata, tramite contratto di lavoro, iscrizione a servizi locali, affitto o proprietà di immobili, utenze estere. Altro problema riguarda chi decide di lasciare la famiglia in Italia (es. coniuge e/o figli minori). In questo caso il rischio è quello di vedersi contestare il domicilio in Italia, quindi la residenza fiscale. Poi chi si trasferisce in Stati inclusi nelle cosiddette “black list” rischia di essere considerato fiscalmente residente in Italia a prescindere dalla presenza formale all’estero. In questi casi il fisco presume la residenza italiana salvo prova contraria, con conseguente assoggettamento alla tassazione italiana su tutti i redditi prodotti ovunque nel mondo, rendendo di fatto inefficace il trasferimento ai fini fiscali. Le convenzioni sottoscritte dall’Italia (per la maggior parte almeno) prevedono poi precisi meccanismi per sciogliere problematiche di “dual residence“. Si tratta di quelle situazioni dove sia la norma nazionale che quella del Paese estero di espatrio possono considerare l’espatriato come soggetto fiscalmente residente. Per sciogliere la problematica è necessario individuare se una delle “tie breaker rules” (art. 4 par. 2 modello OCSE) può determinare la residenza fiscale nel Paese estero. Queste regole, da leggere in modo gerarchico e non concorrente sono: abitazione a disposizione, centro degli interessi vitali, soggiorno abituale, cittadinanza. La tempistica del trasferimento all’estero rappresenta un elemento determinante per stabilire gli obblighi fiscali verso l’Italia. In base all’art. 2 del TUIR, per non essere considerato fiscalmente residente in Italia nell’anno di trasferimento, è necessario non soddisfare i criteri di residenza per la maggior parte del periodo d’imposta, ossia il trasferimento e l’iscrizione all’AIRE devono avvenire entro il 183° giorno dell’anno (o il 184° negli anni bisestili). In altre parole quando il trasferimento e l’iscrizione all’AIRE avvengono entro i primi 182 giorni dell’anno, il soggetto perde la residenza fiscale italiana per l’intero periodo d’imposta. Tuttavia, è fondamentale dimostrare concretamente il cambio del “centro degli interessi” all’estero attraverso documentazione idonea, poiché l’Agenzia delle Entrate può contestare la posizione in assenza di prove sufficienti. Nel caso in cui il trasferimento avvenga dopo aver trascorso più di 183 giorni in Italia, il soggetto è considerato residente fiscale in Italia per l’intero anno. Ciò può dar luogo alla doppia residenza fiscale, qualora lo Stato estero di destinazione valuta la residenza a partire dal momento dell’effettivo insediamento pertanto si può verificare una doppia residenza nell’anno fiscale, ed una doppia imposizione con conseguente imposizione fiscale in entrambi gli Stati sullo stesso reddito. Alcune convenzioni internazionali, come quelle stipulate con Svizzera e Germania, prevedono una disciplina di “split year”, che consente di suddividere l’anno fiscale tra i due Stati, evitando la doppia tassazione del medesimo reddito. Tuttavia, tale regime è applicabile solo se espressamente previsto dalla convenzione. In assenza di tale previsione, si applica il criterio di residenza per l’intero anno in Italia. Il TUIR (art. 165) consente comunque di ottenere un credito d’imposta per le imposte versate all’estero, evitando così una doppia imposizione piena. Gli aspetti previdenziali rappresentano poi una delle questioni più delicate per chi decide di trasferirsi all’estero per lavoro. Quando un lavoratore lascia l’Italia per svolgere un’attività lavorativa in un altro Paese, gli obblighi contributivi e le regole della previdenza sociale non fanno più capo all’INPS o alle Casse previdenziali italiane, ma seguono la normativa locale dello Stato di destinazione. Con l’avvio dell’attività lavorativa all’estero, il lavoratore è di norma tenuto a iscriversi al regime previdenziale locale secondo la legislazione del Paese di destinazione. In questo caso i contributi verranno versati nella previdenza estera e non più in Italia. Un errore comune è credere che i contributi versati all’estero si sommino automaticamente a quelli italiani per il calcolo della pensione. Questo non è vero se manca una convenzione internazionale o un accordo di sicurezza sociale tra Italia e il Paese ospitante. In questi casi i periodi contributivi esteri potrebbero non essere riconosciuti dall’INPS, con il rischio concreto di perdere anni di versamenti per la pensione italiana. Se il trasferimento avviene in Paesi membri dell’Unione Europea, dello Spazio Economico Europeo (SEE) o in Stati con cui l’Italia ha sottoscritto una convenzione bilaterale in tema di sicurezza sociale (come USA, Canada, Svizzera, Australia, Argentina e molti altri), è possibile applicare i meccanismi di totalizzazione o ricongiunzione contributiva. La totalizzazione consente di sommare i periodi assicurativi maturati nei vari sistemi previdenziali, allo scopo di ottenere una sola pensione calcolata su base pro-quota, secondo le regole delle singole giurisdizioni (Reg. CE n.883/2004; D.Lgs. n. 42/2006). Sarà poi il Paese di residenza al momento della pensione a erogare la prestazione (o le singole quote saranno liquidate da ciascun Stato).